Io sono…
Qual è la prima parola che aggiungereste per completare questa frase?
Senza pensarci troppo.
Una prima risposta, apparentemente semplice, è il proprio nome. Tramite il nostro nome ci presentiamo tipicamente agli altri, a volte aggiungendo il cognome. In alcuni contesti formali, direttamente col cognome. In questo modo, già impostiamo il tipo di relazione che stiamo creando, formale e a debita distanza.
Potremmo rispondere invece con un aggettivo. Stanco? Bravo? Può essere utilizzato un aggettivo che definisce la caratteristica che ci sentiamo addosso con maggiore frequenza, oppure quella verso cui tendiamo a voler appartenere. Il primo aggettivo che associamo a noi stessi è una indicazione preziosissima in merito alla propria identità, ovvero a come noi percepiamo noi stessi. Rappresenta una sorta di pietra miliare psicologica.
Un’altra possibile risposta è associare un sostantivo. In questo senso, un esempio tipico è quello professionale: “io sono uno psicologo”, “io sono un architetto”, “io sono un atleta”. Anche il livello di dettaglio con cui lo definiamo è significativo: siamo portati a stupire gli altri utilizzando un termine molto tecnico della nostra professione (eventualmente, anche in inglese) oppure a minimizzare con una categoria generale di appartenenza. “Io sono un libero professionista” a volte è usato per dare più importanza alla modalità di lavoro che al tipo dello stesso.
Numerose tecniche psicologiche sono state messe a punto per avviare una riflessione in merito alla propria identità. Una tra le più famose è l’autocaratterizzazione di George Kelly, una tecnica di stampo costruttivista che chiede di descrivere se stessi “come se ci stesse descrivendo una persona che ci guarda con occhio benevolo”. Vedere come ci poniamo in relazione ad una consegna così marcatamente positiva è una ulteriore indicazione su quanto riusciamo ad avere una idea positiva di noi stessi e quanto questa possa essere realistica.
Il fascino di questi interventi psicologici è la possibilità di scoprire qualcosa di sé prima di identificare problemi, categorie diagnostiche e protocolli di intervento: tutte risorse preziose per poter curare la sofferenza e i disturbi mentali, tuttavia a volte rischiano di ridurre eccessivamente la persona che lo psicologo ha davanti ad un paziente con un problema.
Una modalità innovativa per aprire la consapevolezza personale è iniziare un percorso psicologico riflettendo sulla propria vita come se fosse una narrazione, attraverso l’uso di metafore coinvolgenti vissute in realtà virtuale.
Se la nostra vita fosse un viaggio, dove vorremmo approdare? Se dovessimo crescere in un ambiente naturale ostile, quali sarebbero i nostri elementi vitali?
Possiamo rispondere a queste domande in modo razionale, mettendoci a riflettere, magari con carta e penna. Oppure possiamo vivere un’esperienza immersiva in realtà virtuale appositamente costruita per coinvolgerci in una narrazione metaforica, in modo da poter sentire alcune emozioni in grado di aiutarci a rispondere non solo in modo razionale.
Si tratta di un tipo di intervento psicologico appartenente alla Psicologia Aumentata che permette di riecheggiare dentro di noi passaggi importanti della nostra vita, viverli in modo “tecnologicamente aumentato” per cominciare a maneggiarli e valutare poi con lo psicologo se è necessario approfondirne alcuni. Viceversa, un percorso introduttivo di poche sedute impostato in questo modo può essere sufficiente per migliorare la consapevolezza personale ed aumentare il proprio benessere.
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